SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V
SENTENZA 15 dicembre 2014, n. 15075
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Cremona, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Brescia in data 3/10/2013, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato L.A. , dottore commercialista, per i reati di cui agli artt. 615-ter e 616 cod. pen., unificati dal vincolo della continuazione, per aver acceduto abusivamente alla casella di posta elettronica dell’avv. B.S. , sua collega di studio, prendendo cognizione di alcune e-mail inviate alla professionista o da lei spedite, nonché per aver inoltrato al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cremona una delle e-mail suddette scritte dall’avv. B. e da questa inviate al prof. L.F. di (…), in cui si facevano pesanti apprezzamenti sugli avvocati e sui magistrati del foro di (…).
Non essendovi contestazione sui fatti materiali, il Tribunale e la Corte d’appello hanno formulato il giudizio di condanna a carico dell’imputato disattendendo la tesi difensiva, fondata sull’applicazione dell’art. 51 cod. pen..
Ad avviso dell’imputato, infatti, le condotte addebitategli devono ritenersi scriminate dall’esercizio del diritto, siccome funzionali alla sua difesa processuale nell’ambito di un procedimento penale – che lo vedeva imputato di appropriazione indebita – promosso dall’avv. B. . L’accesso al sistema informatico era servito, in tale contesto, a conoscere e disvelare i rapporti tra l’avv. B. e il dr. C.G. , notaio in (…) e testimone a suo carico nel procedimento penale suddetto, mentre l’inoltro della e-mail al prof. L. era stata determinata da un impulso di carattere ‘etico’. I giudici di merito, andando di contrario avviso, hanno ritenuto inoperante la scriminante suddetta, stante la preclusione posta dall’art. 391-bis alle indagini difensive, ed hanno ritenuto integrato il reato di violazione della corrispondenza per il nocumento derivato all’avv. B. dall’inoltro della e-mail al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di (…).
A confutazione della tesi difensiva, i giudici hanno rimarcato che anche altre e-mail, scaricate dalla posta elettronica di B. e inviate da L. ad altri soggetti, non erano funzionali alla tesi sostenuta: tali alcune istanze di accertamento per adesione avanzate da B.I. (padre di B.S. ) per gli anni 2003-2004-2005 ed inviate da B.S. a studi professionali, nonché corrispondenza in materia fiscale scambiata dalla stessa B. con un collega, inopinatamente inoltrate da L. alla Procura della Repubblica di (…); quattro messaggi di posta elettronica spediti tramite l’account della B. ad altrettanti studi professionali.
Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l’imputato con cinque motivi.
3.1. Col primo censura la sentenza per violazione di legge, in considerazione del mancato riconoscimento della scriminante dell’art. 51 cod. pen.. Il ricorrente ribadisce in questa sede che tutta l’attività spiegata sulla posta elettronica della B. era funzionale alla sua difesa nel procedimento penale che lo riguardava, in quanto:
– la trasmissione alla Procura della repubblica di Cremona della documentazione riguardante B.I. gli era servita a far conoscere al Pubblico Ministero procedente l’esistenza di rapporti tra la B. e l’avv. M. e la rag. S. , entrambi testimoni nel processo a suo carico. Inoltre, altre e-mail provavano la macchinazione della B. a suo danno (in questo senso, la e-mail spedita dall’avv. G.M. il 27/3/2007), ovvero il fatto che B. non gli aveva mai affidato del denaro per pagamento delle imposte (tale la e-mail del 15/9/2008);
– i quattro messaggi di posta elettronica da lui spediti ad altrettanti studi professionali, tramite l’account della B. , erano privi di contenuto, trattandosi di messaggi generati automaticamente dal sistema per dare avviso – al mittente – dell’avvenuta lettura da parte del destinatario;
– la trasmissione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail inviata dalla B. al prof. L. era avvenuta in adempimento di un obbligo giuridico, stante la violazione dei doveri professionali da parte dell’avv. B. , consumata col qualificare negativamente i colleghi ed i magistrati del foro di (…);
– l’accesso al sistema informatico della B. era stato l’unico modo per conoscere gli stretti rapporti tra la B. e il notaio C. , dal momento che egli non ne immaginava l’intensità e dal momento che nemmeno il Pubblico Ministero avrebbe potuto avere accesso all’account della B. , non essendo indagati – sia la B. che il C. – nel procedimento penale che lo riguardava;
– anche la documentazione di carattere fiscale prelevata dall’account della B. e da lui trasmessa al Pubblico Ministero di Cremona serviva a disvelare gli stretti rapporti, anche di natura professionale, esistenti tra B. e C. ;
– non era a conoscenza, quando effettuò l’accesso all’account della B. , delle intenzioni del Pubblico Ministero assegnatario del procedimento a suo carico, posto che lo aveva rinviato a giudizio per l’appropriazione di 500.000 Euro, laddove il Giudice delle indagini preliminari aveva sollevato dubbi solo su un assegno di 10.000 Euro, che risultava a lui consegnato dalla B. , e per il quale aveva formulato ordine di procedere.
3.2. Col secondo lamenta violazione dell’art. 616 cod. pen., non essendosi tenuto conto che la trasmissione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail contenente il giudizio negativo sopra specificato era avvenuta per ‘giusta causa’.
3.3. Col terzo lamenta, ancora una volta, violazione dell’art. 616 cod. pen., per essere stata affermata la sua responsabilità in mancanza di un elemento della fattispecie; vale a dire, il danno per la B. , che era stata convocata dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati senza essere sanzionata. Oltretutto, aggiunge, la B. non poteva essere screditata dalla missiva, visto che aveva, all’epoca, più procedimenti penali a carico.
3.4. Col quarto si duole della eccessività della pena, determinata in violazione dei criteri posti dall’art. 133 cod. pen..
3.5. Col quinto si duole della mancata concessione, da parte del giudice d’appello, della sospensione condizionale della pena in considerazione dei precedenti penali, sebbene il Tribunale avesse ritenuto possibile, in motivazione e nel dispositivo letto in udienza, la concessione del beneficio. Lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 163 cod. pen., in quanto la sospensione è stata negata per il superamento – supposto – dei limiti quantitativi stabiliti dalla norma suddetta, sebbene la pena precedentemente inflitta fosse stata in parte condonata.
Considerato in diritto
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
La tesi che l’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto sia scriminato dall’esercizio di un ‘diritto’, allorché l’accesso faccia comodo all’agente per carpire dati utili alla sua difesa in giudizio, si fonda su una lettura personalistica e distorta della norma penale – nella specie, dell’art. 51 cod. pen. – e sulla assunzione di un concetto onnivoro del diritto di difesa, che non trova riscontro nella tradizione giuridica italiana ed Europea ed è disatteso dalla disciplina positiva delle investigazioni difensive. In realtà, per unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, il diritto che scrimina è quello che, quale che sia il suo posto tra le situazioni giuridiche soggettive (diritto, diritto potestativo, potestà, facoltà), attribuisce al soggetto il potere di agire per la sua soddisfazione, sacrificando gli altri interessi con esso contrastanti. È necessario, però, che l’attività posta in essere costituisca corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto e non trasmodi in aggressioni della sfera giuridica altrui, che sia estranea al campo applicativo del diritto azionato.
Nella specie, il diritto di difesa in giudizio si compendia in una serie di diritti e facoltà disciplinati dall’ordinamento positivo, nessuno dei quali autorizza intromissioni nella sfera giuridica delle controparti processuali o di altri soggetti processuali, né l’esercizio di poteri autoritativi riservati agli organi pubblici. Il richiamo dell’art. 51 cod. pen. è, pertanto, decisamente errato. Né l’attività posta in essere dall’imputato può essere ricondotta al paradigma delle investigazioni difensive, sia perché tale attività è riservata al difensore (e non all’imputato), sia perché la stessa deve arrestarsi di fronte agli ambiti di esclusivo dominio privato, come dimostrato dalla previsione dell’art. 391-sexies cod. proc. pen..
La ‘giusta causa’ invocata dal ricorrente, che avrebbe reso legittimo l’inoltro al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cremona della e-mail carpita abusivamente dalla posta elettronica della persona offesa, è, nella specie, insussistente.
In materia di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la nozione di giusta causa, alla cui assenza l’art. 616 secondo comma cod. pen., subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità – sotto il profilo etico e sociale – dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (Cass., n. 8838 del 1/10/1997). Nel caso concreto, nessuna norma giuridica, etica o sociale autorizza la propalazione di notizie ottenute invadendo la sfera privata altrui (che sia la posta, il domicilio, il luogo di lavoro o altro luogo in cui si svolge la personalità umana) per ‘ristabilire un principio morale offeso’, ovvero per consentire la punizione di un comportamento ritenuto – dall’autore -genericamente disdicevole o contrario a regole giuridiche, deontologiche o morali, giacché non è consentito a chiunque, nell’attuale contesto culturale e ordinamentale, farsi giudice dei comportamenti altrui, specie se l’asserita ansia di giustizia origina dall’avversione nutrita verso una controparte processuale. Conseguentemente, nessun obbligo di segnalazione o di denuncia è posto dall’ordinamento a carico del privato che sia venuto, anche accidentalmente (ma non è il caso), a conoscenza di notizie siffatte.
Destituite di fondamento sono anche le doglianze relative all’assenza di ‘nocumento’ per l’avv. B. , sia perché – come rilevato dai giudici di merito – la diffusione, in ambito forense, di giudizi immotivatamente negativi su giudici e avvocati del foro frequentato dalla B. ha procurato a quest’ultima un sicuro personale discredito, sia perché il nocumento cui si riferisce l’art. 616/2 cod. pen. non riguarda solo la persona del mittente, ma anche quella del destinatario e degli eventuali terzi danneggiati. Nella specie, non v’è dubbio che la missiva abbia colpito anche i giudici e gli avvocati cui la B. si riferiva nei suoi giudizi trancianti. Nessun rilievo assume, pertanto, il fatto la B. non sia stata sanzionata dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza.
Quanto, poi, all’esclusione della possibilità di nocumento per la B. , in considerazione dei procedimenti penali pendenti a suo carico, siamo di fronte ad un corto circuito logico, che esime, per la sua evidenza, da ogni necessità di confutazione.
Il motivo sull’entità della pena è inammissibile, risolvendosi nella astratta lamentela sulla ‘eccessività’ della pena, senza alcun apprezzamento dei fatti e senza tener conto della personalità dell’imputato, che, invece, i giudici di merito hanno adeguatamente valorizzato, ponendoli a base del trattamento sanzionatorio. Nella specie, i giudici hanno tenuto conto della prolungata attività di accesso abusivo alla posta elettronica altrui e di divulgazione a terzi di svariate comunicazioni destinate a rimanere riservate, mostrando di aver adeguatamente apprezzato i fatti di causa e le conseguenze che da essi sono derivate, mentre la personalità e i motivi dell’agire sono stati valorizzati per la concessione delle attenuanti generiche. Trattasi di motivazione ampia, congrua e logica che fa puntuale applicazione dei criteri che, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., devono guidare il giudice nella commisurazione del trattamento sanzionatorio.
Anche l’ultimo motivo – concernente la sospensione condizionale della pena – è infondato. Il beneficio è stato, infatti, concesso dal giudice di primo grado (vedi dispositivo letto in udienza), nonostante, per errore materiale, non si faccia menzione dello stesso nel dispositivo della sentenza-documento (ma se ne parla in motivazione). Il giudice d’appello ha confermato la decisione del Tribunale, per cui ha confermato anche la sospensione condizionale della pena da questi disposta (nonostante in motivazione si argomenti il contrario). Nessuna motivo ha, pertanto, il ricorrente di dolersi di una omissione che può essere corretta con la procedura dell’errore materiale (salvo, in ogni caso, la possibilità di revoca del beneficio in sede esecutiva).
Consegue a tanto che il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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